La fibromialgia è una sindrome caratterizzata da dolore cronico diffuso associato ad iperalgesia, che si accompagna a numerosi sintomi somatici e funzionali in grado di incidere in modo consistente sulla vita di chi ne è affetto. I sintomi riferiti con maggior frequenza sono: crampi, annebbiamento della vista, cefalea, disturbi del sonno, vertigini, palpitazioni, dolori addominali, difficoltà di concentrazione, disturbi della sfera sessuale, ansia, depressione. Questi sintomi possono essere esacerbati da stress emotivi o ambientali, riduzione del sonno, traumi, esposizione a umidità o freddo.
Sebbene i meccanismi fisiopatologici di questa malattia non siano ancora stati completamente identificati, la fibromialgia viene compresa tra le sindromi da Sensibilizzazione Centrale insieme ad altre quali l’emicrania, il dolore pelvico cronico, la cistite interstiziale. La Sensibilizzazione Centrale (Central Sensitization) può essere definita come una condizione in cui il sistema nervoso centrale risulta “bloccato” in uno stato di aumentata reattività agli stimoli dolorosi.
E’ stata riconosciuta l’origine centrale dell’aumentata sensibilità al dolore presente nel paziente fibromialgico, che risulterebbe dallo squilibrio tra gli stimoli dei recettori del dolore periferici che salgono al cervello e l’attività di modulazione a livello dell’encefalo i cui centri utilizzano mediatori oppioidi quali encefalina, dinorfina e serotonina per fornire un’algesia endogena (riduzione del dolore).
I farmaci che sono maggiormente utilizzati per il trattamento dei disturbi dolorosi associati alla Fibromialgia sono FANS, cortisonici e gabapentinoidi che possono però presentare effetti collaterali mal tollerati dai pazienti, provocano spesso un peggioramento dei sintomi avvertiti, richiedono dosaggi elevati, oppure creano problemi qualora se ne richieda la sospensione.
Per questi motivi c’è un grande interesse da parte dei clinici e dei pazienti nei confronti di nuove molecole che possano risultare utili nella cura del dolore e, tra queste, i Cannabinoidi sono certamente al centro dell’attenzione.
I Cannabinoidi si legano a recettori specifici presenti fisiologicamente nel sistema endocannabinoide, mimando gli effetti dei cannabinoidi endogeni (anandamide, arachidonoilglicerolo, virodamina e altri).
Il legame dei cannabinoidi ai recettori CB1 causa una inibizione del rilascio di vari neurotrasmettitori, in particolare dopamina e glutammato, ed una stimolazione di alcune aree della sostanza grigia con conseguente inibizione delle vie nervose ascendenti del dolore.
La stimolazione dei recettori CB2 sembra invece essere responsabile dell’azione antiinfiammatoria e immunomodulatrice dei cannabinoidi.
Uno studio condotto da ricercatori israeliani pubblicato sulla rivista Pain Research and Treatment ha evidenziato che Il sollievo dal dolore è stato segnalato dal 94% dei consumatori di cannabis, mentre il 93% ha riportato un miglioramento della qualità del sonno, l’87% ha riportato un miglioramento della depressione e il 62% ha riportato un miglioramento dell’ansia. Inoltre, quasi l’85% dei pazienti ha smesso completamente di assumere altri farmaci per il dolore o ha ridotto il dosaggio di altri medicinali. Ciò riflette il vantaggio della cannabis rispetto ad altri medicinali nell’alleviare il dolore, oltre ai suoi effetti favorevoli sul sonno e sull’umore a fronte di effetti avversi di scarsissima importanza.
Le modalitaà di assunzione più frequenti sono la somministrazione orale di preparati galenici a base di THC e CBD, in particolare capsule ed estratti oleosi, oppure la via inalatoria tramite opportuni dispositivi per la vaporizzazione.
Particolare importanza rivestono l’esperienza e la preparazione dello specialista che “costruisce” la terapia su misura per ogni singolo paziente in base ai differenti sintomi sfruttando le diverse combinazioni tra THC e CBD, oltre che alla scelta delle varietà Sativa o Indica che, per i differenti profili terpenici, modulano in maniera differente alcune delle loro specifiche azioni.
Articolo scritto da Giorgio Nenna
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