La Palmitoiletanolamide (PEA) è nota dal 1957.
È una molecola naturale, sintetizzata da cellule animali e da cellule vegetali, esercita una moltitudine di funzioni fisiologiche legate all’omeostasi metabolica, cioè quel complesso meccanismo fisiologico che mantiene in equilibrio l’esistenza degli esseri viventi.
Le ricerche sulla PEA scorrono per più di cinquant’anni, solo su PubMed®, la più autorevole banca dati scientifica, se ne contano più di 350.
La Farmacologia di PEA
La PEA è un modulatore endogeno, il suo profilo farmacologico e terapeutico è stato anche oggetto di ricerca del premio Nobel Rita Levi Montalcini che nel 1993 aggiunse altre scoperte al meccanismo d’azione di questa sostanza.
A riguardo dichiarò “la palmitoiletanolamide è attiva per via orale nella riduzione delle infiammazioni del tessuto e nella degranulazione mastocitaria in vivo, diminuendo l’iperalgesia che accompagna la compressione del nervo periferico”.
Infiammazione, dolore neuropatico, dolore viscerale, trattamento del dolore cronico, sistema immunitario, malattie autoimmuni, sono le attività farmacologiche fondamentali della PEA.
PEA viene sintetizzata dalle membrane cellulari a partire da precursori fosfolipidici presenti nella membrana plasmatica[i]. È l’amide dell’acido palmitico con l’etanolammina.
Peculiarità del rilascio di PEA è il meccanismo on-demand: il modulatore endogeno non si trova raccolto in vescicole cellulari (come avviene per la maggior parte dei neuro modulatori), ma viene prodotto e rilasciato dalla membrana cellulare a richiesta quando le necessità fisiologiche lo richiedono.
I valori di PEA aumentano esponenzialmente:
- nelle patologie neurologiche come la neuropatia diabetica, emicrania cronica e sclerosi multipla;
- a livello cutaneo nei casi di dermatite atopica o dopo l’esposizione a sostanze irritanti;
- nel duodeno di pazienti celiaci;
- nel colon di soggetti affetti da colite ulcerosa.
Segnale che l’organismo combatte l’infiammazione anche con questo potente soldato, ma non sempre riesce a schierarne quantità sufficienti.
In diverse patologie è il deficit della sintesi endogena di PEA che acuisce le malattie infiammatorie, il dolore cronico e neuropatico, l’iperalgesia.
I meccanismi d’azione.
La PEA fu considerata inizialmente in grado di svolgere un ruolo prevalentemente antiflogistico[ii] attraverso la down modulazione nel rilascio di citochine infiammatorie[iii], da parte di mastociti, monociti e macrofagi[iv].
Studi più recenti riportano come PEA è coinvolta in meccanismi ben più complessi che regolano il dolore sia neurogeno che neuropatico e intervengono nel network immunitario.
La Montalcini per sintetizzare il meccanismo d’azione di PEA coniò l’acronimo ALIA (autacoid local inflammation, antagonism) che presto mutò in autacoid local injury antagonism a fattualizzare il suo coinvolgimento più in generale nei sistemi di protezione tout court non più circoscritti alla semplice natura infiammatoria.
Diversi modelli sperimentali[v] di infiammazione, tutti caratterizzati da elevato coinvolgimento mastocitario, dimostrano l’azione di PEA sia sulla flogosi di natura immunogenica che neurogenica.
Il ruolo del mastocita nell’infiammazione è noto, in condizioni di sovra stimolazione risponde a impulsi agonisti della più svariata natura, liberando con straordinaria prontezza la cascata tipica delle citochine proinfiammatorie, delle amine vaso-attive, degli enzimi proteolitici, la bradichinina, l’istamina, la triptasi, le neurochinine. La modulazione mediata dalla PEA contiene in modo naturale la tempesta mastocitaria arginando non solo i processi infiammatori[vi], ma anche l’iperalgesia infiammatoria e neuropatica.[vii]
La PEA interagisce con numerose popolazioni recettoriali, sia a livello di membrana che nucleare.
A livello nucleare è stata osservata la sua azione come agonista endogeno del recettore PPAR-α.
Le azioni analgesiche e antiinfiammatori dipendono anche dall’espressione di questo recettore, soprattutto nella genesi del dolore periferico.[viii]
Altri effetti farmacologici sono coinvolti nell’attivazione del recettore PPAR-α quali quelli antiepilettici, neuroprotettivi[ix], della proliferazione cellulare[x], la protezione dell’endotelio vascolare in caso di ischemia del miocardio[xi].
L’attività sul recettore PPAR-α pare essere di tipo genomico[xii], è stato dimostrato che l’attivazione del recettore è indispensabile per gli effetti analgesici della PEA, suggerendo anche il suo coinvolgimento nella regolazione delle fasi iniziali dei fenomeni algesici[xiii].
Altri sottotipi del recettore PPAR-α sono coinvolti nella modulazione della risposta infiammatoria (PPAR-β/δ, PPAR-γ) con il coinvolgimento di sostanze diverse conosciute come attivatori perossisomiali, (acidi grassi, eicosanoidi, sostanze xenobiotiche), tra le quali spicca il leucotriene B4 (LBT4) un potente eicosanoide proinfiammatorio chemiotattico, che lega il recettore PPAR-α attivando le vie della ω- e β-ossidazione con la possibilità di catabolizzare l’LTB4 stesso.
Il meccanismo antiinfiammatoro risiede nell’incremento del catabolismo del LTB4 e del suo precursore acido arachidonico, sia nei macrofagi che nei granulociti, quando il recettore PPAR-α è attivato da PEA attraverso l’avviamento delle vie ossidative cataboliche, di cui, gli eicosanoidi, sono substrato. Si aggiunge anche la riduzione della sintesi di interleuchina 6 (IL-6) e prostaglandine proinfiammatorie come parte del controllo dell’infiammazione PPAR-α dipendente.
Un’altra formidabile azione, apparentemente diversa dal meccanismo ALIA (autacoid local inflammation, antagonism), ma al contrario compatibile e sinergica, è l’interazione di PEA con i recettori dei cannabinoidi (CB). Come noto i CB sono due famiglie di recettori. Il recettore CB1, identificato per la prima volta nel 1998[xiv], viene espresso in varie aree del SNC[xv], nei neuroni dei gangli delle radici dorsali del midollo spinale[xvi] e nei tessuti periferici[xvii]. Il recettore CB2, di più recente scoperta[xviii], è anche detto recettore periferico dei cannabinoidi, perché non si rinviene nel SNC in condizioni normali (né come proteina né come mRNA), mentre nelle cellule immuno-infiammatorie il suo mRNA è presente in ragione da 10 a 100 volte superiore rispetto all’mRNA del CB1.[xix]
Gli effetti farmacologici di PEA, in aggiunta a quelli già descritti, derivano dall’attivazione diretta e indiretta del recettore CB2 o meglio di un recettore CB2-like probabilmente identificato nel GPR55, recettore a 7 domini transmembrana accoppiato a proteine G (come CB1 e CB2)[xx]. Il GPR55 fu proposto per la prima volta come possibile recettore cannabinoide da GlaxoSmithKline e AstraZeneca[xxi]. Gli studi più recenti riferiscono degli attivatori endogeni del recettore, tra i principali l’Anandamide (AEA) seguito dal 2-arachidonoilglicerolo (2-AG) e degli attivatori esogeni, tra i quali spiccano PEA, cannabinolo e il fitocannabinoide Δ9-THC[xxii].
A sostenere l’affinità recettoriale di PEA sono alcuni studi che riportano come la somministrazione di agonisti recettoriali specifici del CB2 annullano gli effetti antidolotifici di PEA[xxiii].
L’ipotesi recettoriale si basa, quindi, su una nutrita serie di dati scientifici che depongono a favore dell’esistenza di un meccanismo d’azione di PEA spiccatamente (ma non esclusivamente) periferico che prevede il legame ai recettori CB2 (o CB2-like) espressi da una svariata popolazione di cellule immunitarie[xxiv] e neuroni sensoriali primari del midollo spinale.[xxv]
In seguito all’attivazione del CB2 (o CB2-like) verrebbe ad essere inibito il rilascio di quelle sostanze (citochine, neurochinine, tachichinine, amine vaso-attive, etc.) implicate nell’infiammazione e nell’abbassamento della soglia di attivazione delle fibre nervose afferenti[xxvi]. La natura locale di questo tipo di meccanismo d’azione comporta enormi vantaggi applicativi, non solo nel settore dell’infiammazione, ma in particolare nel trattamento del dolore cronico e neuropatico[xxvii]. È verosimile, infatti, che sostanze attive come agonisti selettivi del recettore CB2, siano prive di effetti collaterali sul sistema nervoso centrale, controbilanciando gli effetti indesiderati che limitano l’efficacia dei farmaci attualmente disponibili come analgesici e antiinfiammatori [xxviii]. Tra i ligandi esogeni dei recettori dei cannabinoidi, in particolare agonisti selettivi del recettore periferico CB2, privi di effetti collaterali sul SNC, la PEA apre nuovi orizzonti nella terapia del dolore neuropatico.[xxix]
Un altro aspetto estremamente interessante, parecchio studiato da numerosi ricercatori, tra i quali bisogna citare Raphael Mechoulam, il padre dei cannabinoidi e del sistema endocannabinoide, è la capacità di modulazione biologica di PEA, si prospetta, infatti, la sua funzione di amplificare l’attività antiinfiammatoria e anti-nocicettiva di altri composti endogeni, attraverso l’aumento della loro affinità per il target o l’inibizione dei loro pathway degradativi.[xxx]
Tra i composti endogeni la cui attività viene amplificata da PEA si annovera, come già ricordato, in particolare l’Anandamide (AEA), il più rilevante endocannabinoide, ligando del recettore CB1.[xxxi]
L’AEA inibisce il comportamento algico indotto da sostanze infiammatorie attraverso l’attivazione del recettore CB1[xxxii], ma anche come riportato da altri autori, per attivazione del recettore CB2 dei neuroni spinali[xxxiii]. AEA alla sua natura di endocannabinoide accorpa anche l’affinità per il recettore dei vanilloidi, VR1[xxxiv]. L’attività di PEA di potenziare l’effetto di AEA attraverso l’aumento di affinità per il recettore VR1 assume una valenza molto importante nel trattamento del prurito[xxxv], spesso correlato al dolore fibromialgico periferico.
In conclusione, gli effetti antiinfiammatori ed antinocicettivi della PEA, transitano anche attraverso il potenziamento degli effetti endocannabioidi e endovanilloidi dell’Anandamide o di neuromodulatori endogeni analoghi.
La Galenica di PEA
La Palmitoiletanolamide è una molecola praticamente insolubile nei liquidi fisiologici a causa della sua natura lipofila. Esistono pochissimi dati disponibili in letteratura sulle proprietà farmacocinetiche di PEA e quindi sulla sua biodisponibilità.
Alcuni studi riportano dati di concentrazione plasmatica, dopo somministrazione di 300 mg per via orale, relativamente di breve durata[xxxvi], il picco di concentrazione si registra dopo 2 ore, tornando rapidamente al valore basale a 4 e 6 ore.
È stata anche studiata la distribuzione di PEA a livello tissutale[xxxvii] utilizzando delle emulsioni in olio di mais, che riportano maggiore persistenza in organi come cuore e cervello.
Rilevante è lo studio di Artamonov[xxxviii], sono riportati dati di distribuzione di PEA nel SNC, seppure eterogenea, nell’ipotalamo, nella sostanza bianca, nel tronco celebrale, nel cervelletto e nella corteccia celebrale.
La scarsa solubilità di PEA è il maggiore fattore limitante per l’assorbimento e la biodisponibilità. Il rapporto di dissoluzione è anche influenzato dalla dimensione delle particelle.
Alcuni studi preclinici riportano di un maggiore vantaggio in termini di biodisponibilità di forme orali di PEA micronizzata e ultra-micronizzata. Tali studi, tuttavia, sono stati portati avanti e pubblicati prevalentemente da aziende che commercializzano integratori con PEA in forma micronizzata brevettata.
Mancano in letteratura confronti diretti tra le diverse formulazioni di PEA nell’uomo e quindi non ci sono ancora dati clinici a supporto dell’uso di una formulazione micronizzata rispetto ad un’altra.
La prima considerazione è necessario farla sulle forme solide orali di PEA, con o senza trattamenti di micronizzazione.
È noto che la riduzione in particelle più piccole di qualsiasi sostanza somministrata per via orale agevola la sua diffusione nei liquidi fisiologici perché aumenta la superfice esposta e quindi i processi di solubilizzazione ed assorbimento.
Tuttavia, per una molecola praticamente insolubile come PEA, nonostante la micronizzazione, la forma solida direttamente a contatto con la mucosa gastrica o duodenale ha un profilo di assorbimento estremamente basso e imprevedibile.
Per uscire da questo cul-de-sac è necessario ricorrere ad altri sistemi di dosaggio compatibili con le molecole insolubili.
Sono le sospensioni e più precisamente le microemulsioni, che consentono, attraverso dei sistemi dispersi, un adeguato assorbimento e biodisponibilità.
La microemulsione dal punto di vista chimico-fisico è la dispersione di due o più sostanze che tra loro hanno poca affinità.
Nel caso della microemulsione di PEA, si disperde la sostanza in una quantità minima di un olio e si aggiunge lentamente ad una fase costituita da acqua e da un opportuno carrier lipidico. La fase PEA/olio si dissolve nella fase acquosa e per effetto di energia meccanica prodotta da una sonda ad ultrasuoni o da un turbo-emulsore ad alta potenza, si formano nella fase disperdente delle microsfere con PEA all’interno e il carrier lipidico all’esterno.
Il vantaggio in termini di biodisponibilità di questa forma di dosaggio risiede nel fatto che possiede sia un’affinità per l’acqua, prevalente nei fluidi fisiologici (saliva, succhi gastrici, liquidi intestinali), sia per i grassi delle membrane cellulari.
La microemulsione di PEA veicola agevolmente nei liquidi fisiologici per raggiungere il suo target, le membrane cellulari con le quali può interagire e permeare.
Per la formulazione galenica magistrale di PEA in microemulsione, oltre a consultare la letteratura scientifica di base[xxxix], e stata necessaria la collaborazione con facoltà di Farmacia e sono in corso dei lavori di prossima pubblicazione.
Conclusioni.
Gli studi sulla PEA sono in continua evoluzione, di notevole rilevanza sono le numerose revisioni ed in particolare una metanalisi recente[xl], i dati clinici sono molto incoraggianti e l’uso terapeutico è confortato anche dalla esiguità delle reazioni avverse riportate.
L’uso di PEA nelle forme algiche è di sostegno alle terapie tradizionali e di promettente applicazione come sopporto alle terapie con cannabinoidi.
Altre interessanti attività farmacologiche si prospettano. In fase di revisione bibliografica del presente articolo è comparso quasi per caso un recente lavoro che descrive gli effetti di PEA associata all’Oleoylethanolamide nell’ipossia neuronale.[xli]
Oleoylethanolamide è una molecola appartenente anch’essa alla famiglia delle N-aciletanolamine, quindi dell’Anandamide e di PEA, è anche nota per essere il “fattore di sazietà”, agisce sulla corteccia prefrontale dove il sistema serotoninergico ha una funzione di controller.
Concorre assieme ad altri fondamentali neuromodulatori come la serotonina e la melatonina, al sistema della gratificazione e della ricompensa, ma di queste sinergie, che coinvolgono anche i cannabinoidi, ne parleremo un’altra volta.
—————————————————————————–
[i] Hansen e Diep 2009; Ahn et al 2008; Wang e Ueda 2009
[ii] Schmid et al., 1990
[iii] Berdyshev, 2000
[iv] Aloe et al.; 1993; Facci et al., 1995; Mazzari et al., 1996; Scarampella et al., 2001, Berdyshev et al., 1997; Rossi et al., 2000
[v] Mazzri et al., 1996; Conti et al., 2002; Costa at al., 2002
[vi] Levi-Montalcini et al., 1995
[vii] Levi-Montalcini et al., 1995; Theodosiou et al., 1999; Zuo et al., 2003
[viii] Calignano A.,2001; Jaggar S.I., 1998; Aloe L., 1993
[ix] Franklin, A., 2003; Sheerin A.H., 2004; Skaper S.D., 1996
[x] De Petrocellis L., 2002; Di Marzo V., 2001
[xi] Bouchard J.F., 2003
[xii] Costa B., 2002
[xiii] LoVerme J.L., 2005; Isseman I., 1990
[xiv] Devane et al., 1988
[xv] Walker et al., 2002
[xvi] Ahluwalia et al, 2002; Ralevic, 2003
[xvii] Malan et al., 2002
[xviii] Munro et al., 1993
[xix] Malan et al., 2002
[xx] Ross R.A. et al., 2009
[xxi] Sharir H. and Abood M.E., 2010
[xxii] Shair H and Abood M.E., 2010; Ross A. R. 2008; Ryberg E.et al., 2007; Henstridge C.M. et al., 2009/2010
[xxiii] Calignano et al., 1998; Calignano et al., 2001; Conti et al., 2002; Farquhar-Smith e Rice, 2003
[xxiv] Sokal et al., 2003; Malan etal., 2002
[xxv] Hohmann, 2002; Nackley et al., 2003
[xxvi] Sokal et al., 2003
[xxvii] Richardson et al., 1998b
[xxviii] Ibrahim et al., 2003
[xxix] Helyes et al., 2003
[xxx] Mechoulam et al., 1998; Ben-Shabat et al, 1998; Calignano et al., 1998; Lambert e Di Marzo, 1999, Hohmann, 2002; Smart et al., 2002; Walker et al., 2002
[xxxi] Devane et al., 1992
[xxxii] (Calignano et al., 1998; Richardson et al., 1998; Richardson et al., 1998c
[xxxiii] Sokal et al., 2003
[xxxiv] Ross, 2003
[xxxv] De Petrocellis et al., 2001
[xxxvi] Petrosino et al., 2009
[xxxvii] Grillo et al., 2011
[xxxviii] Artamonov et al., 2014
[xxxix] Genevieve G., Prashant S., Marie-Christine J., et al., 2010 – Vasconcelos T., Sarmento B., Costa P., 2007 – Fatouros DG., Deen GR., Arleth L., Bergenstahl B. et al., 2017 – Muller RH., Peters K. et al., 2018 – Vauthier C., Bouchemal K. et al., 2009
[xl] Bekir Berker Artukoglu, Chad Beyer, Adi Zuloff-Shani, Ephraim Brener, Michael Howard Bloch, 2017
[xli] Manuel Portavella, Nieves Rodriguez-Espinosa, Pablo Galeano , Eduardo Blanco et al.,2018